giovedì 29 settembre 2011

Il Centro per la salute delle donne straniere e dei loro bambini

In questi vent'anni lo sguardo verso le donne migranti è molto cambiato perchè si è cominciato a capire che è tanto quello che trovano ma anche quello che lasciano quando arrivano in Italia, allora si crea in loro la necessità di non perdersi, di non lasciare la loro cultura per un'altra.

La giornata del 21 settembre 2011 a Bologna si sono dati appuntamento nella sede dell' hotel Aemilia sala Archiginnasio operatrici sanitarie, medici, mediatrici interculturali, associazioni e istituzioni per festeggiare i 20 anni del Centro per la salute delle donne straniere e dei loro bambini, un traguardo compiuto con molte fatiche ma anche tante sodisfazioni dato che è uno dei primi nel paese. Un posto dove le donne straniere arrivano per farsi curare il corpo ma non solo, anche la mente e l'anima perchè le problematiche che si generano con l'arrivo in Italia, sia per un ricongiungimento familiare sia per lavoro ed altro per una donna di una diversa nazionalità e soprattutto una cultura tante volte dissimile all'italiana sono quelle che si sviluppano dal profondo dal cuore. Per l'assesore alle politiche sociali, volontariato, associazionismo e partecipazione del Comune di Bologna Amelia Frascaroli "il Centro ha saputo mettere insieme storie, è stato capace di pratticare un sperienza dove si è applicata letteralmente la costituzione".

Il percorso è cominciato negli anni '90, in un momento nel quale lavorare in questo ambito aveva un significato molto forte, di apprendimento dalle due parti, dove le donne straniere hanno insegnato ai medici ed operatrici sanitarie a fare sanità in modo diverso e allo stesso tempo hanno capito che c'era un posto dove potere uscire dalla solitudine, dove portare i bambini alle visite per la crescita o lo sviluppo e che era anche un momento di sfogo.
Per alcune donne le giornate si svolgono in gran parte a casa da sole o con i bambini piccoli da gestire, in tante occasioni non conoscono la lingua italiana e questo crea un senso di malessere. Le mediatrici interculturali aiutano queste donne a rompere le barriere e a capire che sono parte attiva di questa società e hanno il diritto di far crescere i figli con serenità.

Il Centro è gestito dalla dottoressa Maria Giovanna Caccialupi e da una équipe  composta da professioniste donne: addette alla accoglienza, ostetriche, pediatre, ginecologhe, mediche di base e mediche di base e mediatrici interculturali; assicura il ruolo della mediazione interculturale per facilitare l'incontro di famiglie straniere e operatori sanitari e dà ai genitori gli strumenti per agire, garantisce la riservatezza. Un fattore importante è che si  valuta ogni bambino con la sua famiglia esaminando le diverse problematiche, condizioni culturali e sociali; è un osservatorio privilegiato per comprendere come vivono i bambini e le donne migranti, lo scopo è l'accoglienza a donne e bambini mediante il miglioramento delle politiche professionali e un modello organizzativo specifico.

Nel momento dell'apertura il centro era frequentato in gran parte da donne provenienti dalla Cina e dal Marocco. Negli ultimi anni invece i primi cinque paesi di provenienza sono stati: Moldavia, Romania, Marroco, Filippine e Cina. Da gennaio a luglio di quest'anno ci sono 125 nuove utente.

Il Centro rappresenta anche un punto di riferimento per gli ospedali dato che garantisce un ruolo di mediazione, rispetta i diritti di tutti alla salute ed è una risposta immediata ai problemi. 

Quando una donna si reca al Centro la prima cosa che si fa è un coloquio con domande generali, dipende dall'intervento necessario. Posteriormente si fissa una visita specialistica, in quel momento si parla già dello specifico, è lì molte volte che si riesce a capire se c'è qualche problematica di fondo non molto esplicita. Di solito quando si vede continuamente una paziente senza nessun motivo apparente c'è qualcosa che non va e l'operatore deve intuire quali sono gli indicatori. Secondo la dottoressa Grazia Lesi "quando si parla di violenza di genere le donne non parlano, parlano col corpo, l'operatore deve intuire quali sono gli indicatori, per esempio quando non si fanno visitare in gravidanza".

Dottoresse e operatrici del Centro si sono fatte participi raccontando esperienze e impressioni: "Per noi un bambino sodisfatto rafforza il suo senso di sicurezza", "a volte cambiare prospettiva, non vedere solo quelo che ci unisce ma anche quello che ci separa", raccontare donna dà coerenza e significato alla esperienza", "l'impegno e la collaborazione sono importanti per superare le difficoltà".

In questi ultimi 10 anni sono passate più di 25.000 persone. Il Centro per le madri che provengono da altri paesi è un patrimonio di sapere e cultura, c'è una coscienza condivisa anche nei momenti più difficili per gli stranieri, qualche anno fa quando in alcune regioni si pretendeva che i medici denunciassero le persone senza documenti, sulla porta d'ingresso c'era un cartello con la scritta "Qui non si denuncia".
Sono situazioni come questa che fanno la differenza.


(Jhoana Ostos)

venerdì 23 settembre 2011

Incertezze e realtà

Spiaggia di Peschici, otto di mattina, per Usman e Falù è una giornata normale di estate da trascorrere in spiaggia, Usman ha un anno, si sta appena svegliando, non ha bisogno di niente in questo momento, è sulla schiena della mamma com'è abitudine portare i bambini piccoli africani. Per madre e figlio è un legame importante che dà al bimbo sicurezza e alla mamma la certezza che il piccolo sta bene mentre lei lavora.

Suo fratello Falù ha cinque anni e beve un po’ di caffè latte. Oggi porta la sua maglietta fortunata dell’Inter con il numero del suo giocatore favorito, il 9 di Eto’o. Aiuta un po’ i suoi genitori a sistemare collanine, anellini e braccialetti sulla bancarella dove sua madre, una bella e alta ragazza senegalese, abito molto lungo e colorato, dividerà la sua giornata nel vendere gli oggetti esposti e anche nella elaborazione delle treccine tanto gradite alle ragazze e ragazzine in spiaggia. Per le turiste forse sono soltanto una moda… per le donne africane fa parte della loro cultura di origine. Da sempre, a prescindere dalla nazione di origine, le trecce sono un modo di comunicare. Nell’epoca della schiavitù le trecce servivano tracciare i sentieri per poter scappare, erano usate come una forma di libertà.
 
I fratelli più grandi di venti, diciassette e quindici anni mettono a posto il carretto con vestiti, parei e costumi “tutto a 3 euro”. Un po’ più distante sulla sabbia stendono un telo di plastica 3x2 sul quale espongono le borse contraffatte Dolce&Gabbana, Prada, Louis Vuitton. Il lavoro nelle ore più calde della giornata li costringe ad andare sotto ai tre ombrelloni piantati alla mattina, a volte fanno anche il bagno ma solo i piccoli e i ragazzi, mai i genitori.   

Sono arrivati in Puglia sette anni fa dal Senegal. Come capita spesso in diversi paesi del continente africano, molte comunità dai villaggi più poveri cominciano le migrazioni in questo caso verso Nord cercando lavoro. Quando si appartiene a paesi poco sviluppati e avendo alcuni risparmi da parte, si cerca di andare verso l’Occidente, nei paesi come l’Italia che ancora rappresenta "un’altra vita" e un “futuro” per i figli.

Inizialmente la famiglia era composta da tre figli, poi in Italia sono nati i due più piccoli, per loro forse le cose possono andare diversamente.

Vivono in un piccolo paesino del Gargano e da quando iniziano ad arrivare i turisti sulle spiagge, verso marzo o aprile cominciano a girare, fanno un mese in una spiaggia e poi vanno in un’altra. Uno dei vantaggi del Sud e che ancora sulle spiagge possono svolgere tranquillamente il loro lavoro, da quelle parti ancora non sono arrivate le multe per venditori e turisti. La mattina presto fanno la scalinata che dal centro dal paese porta alla spiaggia e nel tardo pomeriggio tornano su per riportare la merce.

I ragazzi parlano con i turisti, sono più aperti, scherzano tra di loro, i genitori invece sono molto riservati, il padre in particolare, sarà sui 50 anni e il suo viso ormai trasmette un po’ di tristezza, è cupo e cammina a piccoli passi, lentamente, forse la stanchezza di una vita di solo lotte. I due bimbi Usman e Falù ancora non capiscono molto della loro vita, sono tranquilli perche le loro giornate le trascorrono in spiaggia con la famiglia, non manca loro niente,  Falù gioca a calcio con gli altri bambini, fa il bagno, va in acqua e scherza con i suoi amici, è contento di cominciare la scuola, e Usman, con i suoi piccoli passi percorre la spiaggia libera saltando da ombrellone a ombrellone, ha due begli occhi neri e profondi, dice "ciao" e "grazie" e con la sua voglia di scoprire il mondo trasmette molta tenerezza, è molto sveglio.

Per adesso sono fortunati a vivere in modo naturale la loro infanzia, crescendo impareranno anche a lavorare, a cavarsela come i fratelli, è probabile che con un po’ di fortuna e la possibilità di andare a scuola, le cose per loro diventeranno migliori.   

(Jhoana Ostos)