venerdì 21 ottobre 2011

La libertà ai tempi di guerra

La giornalista colombiana Jinet Bedoya, viceredattore della pagina di giustizia in uno dei giornali più importanti dalla Colombia "El Tiempo", dieci anni fa ha intrapreso una causa contro lo stato colombiano cercando di fare giustizia e chiarezza per i fatti che le sono successi il 25 di maggio del 2000, mentre si occupava dei problemi di ordine pubblico nelle carceri della città di Bogotà. Al momento dei fatti aveva 29 anni, si era laureata da qualche anno e da quando era una studentessa universitaria si occupava delle problematiche nelle carceri, il mondo nelle prigioni, "la morte in gabbia", la legge del silenzio che abita ogni angolo di essa.

Le carceri colombiane hanno visuto uno dei momenti più bui tra la fine degli anni 90' e l'inizio del 2000 per l'affolamento generando molte proteste che hanno lasciato più di 150 detenuti deceduti, 500 evasi e circa 35 scomparsi. I conflitti tra paramilitari e guerriglieri si sono spostati alle celle e con la corruzione il sistema carcerario si è indebolito ancora di più.

All'ingresso di uno dei penitenziari più affollati e pericolosi, dove erano detenuti delinquenti comuni, membri di gruppi paramilitari e guerriglieri delle Farc e l'Eln, la giornalista aveva una intervista con un capo paramilitare che le avrebbe fatto delle rivelazioni importanti ma non è riuscita ad attraversare l'ingresso del penintenziario, è stata avvicinata da alcuni uomini armati che l'hanno portata contra la sua volontà, la hanno drogata, torturata, violentata e rilasciata 16 ore dopo in una strada di una città vicino a Bogotà.

Uno dei fatti che fa pensare molto alla complicità delle guardie del penitenziario è che tutto si è svolto nelle ore della mattina, in una giornata come tante altre che però lasciò un segno nel giornalismo colombiano.

Purtroppo dire quello che si pensa in un paese come la Colombia in guerra dalla fine degli anni 60' contro i gruppi guerriglieri, narcotrafficanti e anche i gruppi paramilitari ancora rappresenta un rischio, la Fondazione per la Libertà di  stampa Colombiana rivela che nelle ultime quattro decadi sono 136 i giornalisti assassinati nelle mani di sicari al servizio del narcotraffico, guerriglieri e paramilitari. Non possiamo parlare di libertà di espressione, si muore nel tentativo di comunicare agli altri quello che è successo, di raccontare i denunciare i fatti accaduti, quello che in alcuni paesi è un diritto inalienabile in posti come la Colombia è una professione ad alto rischio.

Da allora la giornalista Jinet Bedoya ha pubblicato diversi libri dove racconta il mondo nelle carceri colombiane e nel 2010 ha accompagnato la ONG Oxfam per promuovere in Europa la campagna "Saquen mi cuerpo della guerra", Togliete il mio corpo della guerra, per parlare della strumentalizzazione della violenzia sessuale come arma di guerra in Colombia.

(Jhoana Ostos)

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