venerdì 9 dicembre 2011

Adama e i diritti degli Invisibili

Per la Costituzione italiana tutti i cittadini hanno parità sociale e sono uguali davanti alla legge ma cosa succede se queste persone sono arrivate illegalmente in questo paese e vivono in condizioni di clandestinità per non essere entrate in nessuna sanatoria e non avere avuto la fortuna di trovare un lavoro?
Diventano agli occhi della legge invisibili.

La loro quotidianità è quella di tante persone nella stessa situazione: fanno tutto “in nero”, cercano un lavoro o ce l’hanno già, pagano un affitto, fanno la spesa, mandano i figli a scuola perché almeno per adesso possono farlo, ma anche i loro figli non esistono legalmente, fanno soltanto parte delle statistiche dell’Istat.
I diritti delle donne, soprattutto quelle in condizioni irregolari, vengono calpestati anche della giustizia.

Questo è proprio quello che è successo ad Adama Kebe, senegalese, arrivata in Italia alcuni anni fa per scappare dalla disoccupazione del suo paese e per dare risposta al suo desiderio di trovare altrove un futuro dignitoso per i suoi figli. Dopo il suo arrivo ha trovato un lavoro, una casa, grazie all’aiuto di un uomo che inizialmente la aiutava diventando così anche suo compagno. La situazione si trasformò presto in uno sfruttamento perché lui pretendeva buona parte del suo stipendio. Successivamente cominciarono anche i maltrattamenti fisici e psicologici, sono stati quattro anni di sofferenza nei quali lui la minacciava di denunciarla e farla espellere dall’Italia per tornare in Senegal. Lui sapeva come farla tacere e sommetterla al suo potere.

Pensando di poter trovare aiuto nelle autorità italiane, Adama il 26 d’agosto 2011 ha trovato il coraggio di denunciare il suo ex compagno che la aveva stuprata, picchiata e ferita alla gola con un coltello; ma come succede molto spesso in Italia quando non si ha un permesso regolare di soggiorno, anche se i tuoi diritti sono stati calpestati, si è trovata sola davanti a un muro.
È stata inviata al centro di identificazione ed espulsione, il famigerato Cie.
Il 16 di settembre il suo avvocato ha chiesto di potere entrare con un medico ed un interprete per accertare le sue condizioni di salute e potere così raccogliere tutti gli elementi per fare la denuncia, ma fino al 25 di ottobre non è stato loro autorizzato l’ingresso al centro.

Hanno cominciato cosi a mobilitarsi in rete associazioni femminili, attivisti antirazzisti, giornalisti e avvocati per cercare di capire perché Adama non è stata mai ascoltata e perché non è arrivato l’aiuto da parte dei carabinieri che invece di segregarla nel Cie avrebbero potuto cercare un mediatore culturale, un medico ed aiutarla.

È questa l’Italia per i nostri figli? Un paese dove sei cittadino soltanto quando i tuoi documenti attestano che hai un permesso regolare di soggiorno e in tante occasioni neanche quello ti dà la garanzia di essere trattato come un essere umano? Se hai i documenti in regola e paghi le tasse sei uno straniero arrivato in Italia a togliere il lavoro agli italiani, se non sei regolare sei invisibile, se poi sei una donna sei ancora più vulnerabile.


Lo scorso 1 dicembre finalmente è finito questo incubo per Adama: è stata liberata e portata in una casa protetta grazie alla volontà di tutti quelli che si sono fatti avanti chiedendo una risposta alle continue violazioni dei suoi diritti. Infine, le è stato dato un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Questo può essere un piccolo passo nel cammino che dobbiamo cominciare a costruire per tutti gli stranieri che sono rinchiusi in centri come il Cie nel territorio italiano e in tutta Europa affinché, ogni giorno, si aprano più possibilità di giustizia per i migranti non regolari.

(Jhoana Ostos)

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