mercoledì 28 marzo 2012

Immigrate, basta con la commiserazione: alle donne auguro solo capacità di azione

Da molti anni frequento donne immigrate in Italia, sia nei programmi di alfabetizzazione o insegnamento della lingua italiana, sia in situazioni informali di feste e corsi di cucina o cucito, o nelle piazze, in occasione di mobilitazioni o eventi antirazzisti. Nel corso del tempo ho viaggiato in paesi soprattutto africani, in quelle nazioni tanto lontane dall’Italia per stili di vita, credenze, tradizioni e storia. Le ho ascoltate parlare, le donne, raccontare e ridere, sfogarsi e costruire pensieri. Per anni e anni ho seguito alcune vicende legate alle violenze da molte di loro subite; ho pianto delle loro morti, delle prevaricazioni esperite, del loro soffocamento in famiglia e nella comunità.
Ho visto associazioni accudirle, questure vessarle, ospedali respingerle. Ho sentito figli maltrattarle, mariti adorarle, amiche sostenerle. Le ho osservate cucinare, lamentarsi, sbagliare, esagerare, partorire, maledire, mediare, ripartire.
Dopo più di 20 anni di vita con loro, nelle loro case, e nella mia, non distinguo, nel mio cuore, la loro provenienza: se non quando leggo di “loro” nei giornali, o sento parlare di “loro” nelle conferenze e nei convegni; se non quando “loro”. Vengono a cercarle, a cercare “loro”, giovanissime e ben intenzionate laureande, per intervistarle e porre “loro” domande incomprensibili su temi di ordinaria monotonia: ginecologia, molestie, violenza, scolarità.
Poi: le distinguo quando si vota, perché “loro” non votano; quando c’è un concorso pubblico, perché i “loro” titoli di studio quasi mai vengon riconosciuti in Italia.
E mentre quando parliamo di storia, e la “loro” storia non è la mia, o di fiabe, o di musica, che non sono le stesse, con divertito interesse ci confrontiamo e ci raccontiamo, quando invece la differenza rende le donne immigrate deboli, irriconosciute, non-cittadine, carenti, non c’è progetto o incontro a tema o sussidio che addolcisca la pillola: le devo vedere con quegli occhi, le devo considerare in quel modo. Un branco di deboli questuanti incapaci, schiave di tradizioni incomprensibili e arretrate e soggette alla volontà altrui. Poverine, le donne immigrate. Non c’è niente da fare, sono diverse.
Così, le abbiamo rese. Da commiserare, e aiutare in ogni settore, perché non son capaci che di poco o nulla.

Ma io non ci sto più.

A questo punto, credo davvero che la mia amicizia e supporto per “loro” sia di trasmettere un poco di empowerment, di conoscenza dei mezzi possibili, di amore per la tenacia, di sicurezza e autostima, oltre che di valutazioni "diverse" dei comportamenti e delle catene imposte.
E’ il momento per me di dirlo: di dire che, per il bene loro – e mio - accoglierle come amiche non basta. Il mio Paese non mi consente la naturalezza. E allora devo darmi da fare per aprire loro possibilità e fare loro acquisire competenze diverse anche sui comportamenti possibili, che rompano con le credenze imposte. Occorre praticare un’altra opzione, agire una mentalità cambiata. Avere davanti obiettivi d'indipendenza, visioni di libertà vissuta.
L'atto migratorio, anche per me, quando "migro" nelle famiglie altre, ci apre la testa a rivelazioni e novità creative e divergenti rispetto ai nostri vissuti. Se un augurio posso fare alle donne, è quello di sapere che cosa buona e giusta è usare i mezzi legali ma anche inconsueti, forse, o comunque non convenzionali, per riavere indietro la loro capacità decisionale.
Per me, lo ripeto.
Credo debba anche passare il messaggio che possono comprendere; se una donna non capisce un termine, una ricetta, un referto, DEVE chiedere, approfondire, comprendere PERFETTAMENTE.
La “nostra” italica disponibilità c'è, almeno così dicono le centinaia di associazioni e gruppi femminili. Ma ora dovrebbe essere chiaro che non è funzionale rimanere dipendenti da un assistentato ad libitum di italiani, che, se pur ci sono, sono con loro anche per farle crescere, come donne e cittadine, come cresciamo tutti e sempre, come occorre fare nella vita. Per tutti.
Chiediamo aiuto, è sacrosanto: ma solo fino a quando sia strumentale all’autonomia, non alla dipendenza ad oltranza. Quando l'abbiamo, l’aiuto, valorizziamolo. Se no ci si rivolterà contro, diventerà un’abitudine che fa comodo ai politicanti e ai loro traffici.
Le donne ora dovrebbero avere l'obiettivo di muoversi sempre meglio e di comprendere sempre di più. Con la motivazione di se stesse e dell’amore per il mondo, e non solo dei loro figli, altro stereotipo comodo al sistema che le confina tra le mura domestiche.
Donne, amiche, uscite dagli spazi dei consultori e dei corsi di italiano: usate i vostri occhi splendidi e nuovi per creare splendide e nuove cose.

Alessandra Lazzari



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