lunedì 6 maggio 2013

Femminicidio: ma quale task force, ripartiamo dalle donne

La premessa è questa: sono sempre stata contraria alle quote rosa. In politica soprattutto.
Uno, perché le donne non sono dei panda. Due, perché va votato chi vale, indipendentemente dal suo genere. 

Detto questo, guardo con ottimismo alle tante donne, per la prima volta così numerose, del governo appena insediatosi.

Ci sarà tempo per valutare il loro operato, ma spiace constatare che tra le prime dichiarazioni di intenti ci sia il classico annuncio vuoto. Che definirei da uomini, se volessi forzare la mano e cadere nel campo delle generalizzazioni.
Una task force contro il femminicidio.
Leggetela ad alta voce: UNA TASK FORCE CONTRO IL FEMMINICIDIO.
Ma che significa?
Anche a voler sorvolare sul fatto che l'espressione è mutuata dal linguaggio militare, come funzionerebbe questa unità di pronto intervento contro la violenza sulle donne?
Qualcuno lo ha spiegato? E, soprattutto, qualche giornalista ha avuto la cortesia di chiederlo?

No, perché l'Italia è piena di cosiddette task force. La task force contro l'evasione fiscale (e, a parte qualche roboante intervento a sorpresa a Cortina, poco è cambiato), la task force contro gli affitti in nero (sono scomparsi?), la task force contro l'inquinamento, la task force contro la droga, la task force contro il degrado e, la più bella di tutte, la task force contro la disoccupazione annunciata sempre dal governo di Enrico Letta.

Ma entriamo meglio nel merito della dichiarazione di intenti del ministro per le pari opportunità, Josefa Idem: serve una legge unitaria sulla violenza sulle donne, attuare campagne di informazione e sensibilizzazione, migliorare l'applicazione delle norme esistenti. E, prima di tutto, conoscere il fenomeno muovendosi in maniera trasversale con il ministero degli interni e della giustizia.

Benissimo. Ma in concreto cosa intende fare, il governo, andare casa per casa a stanare il mostro? O istituirà (è una domanda retorica, perché lo istituirà) l'ennesimo osservatorio che farà l'ennesima conta delle vittime? Che, non lo dimentichiamo, non sarà mai precisa perché non può che fondarsi sulle denunce di un fenomeno che aumenta perché gioca sul sommerso.

Insomma, perché non la smettiamo di riempirci la bocca di parole, parole, parole?
La coscienza, non sarebbe meglio pulirsela con un po' di sano silenzio e rispetto per le vittime? Magari accettando che su certi fenomeni, senza un'educazione che parta dalla culla, siamo completamente disarmati? Così come lo è chi non può fare altro che intervenire a posteriori, tamponando a medicare la ferita, nella migliore delle ipotesi, piangendo su una lapide nella peggiore?


Finché il genere umano non verrà completamente resettato, continueranno ad esserci uomini che si sentiranno autorizzati a trattare le loro donne come oggetti o, se va bene, come cameriere. E ancora poliziotti e carabinieri che sottovaluteranno le denunce sporte, avventori di bar che commenteranno con il solito "chissà com'era vestita" e, addirittura, genitori che minimizzeranno i racconti delle figlie. 

La verità, anche se non vi piacerà, però, è una sola. 
Questi uomini violenti non sono figli di due uomini. Di due xy. Ma di un uomo e una donna.
Una donna, che li ha portati in grembo nove mesi.

Noi donne, invece di indignarci e basta, perché non ci facciamo anche un bell'esame di coscienza?
Come li abbiamo educati i nostri figli? A essere serviti e riveriti? E, prima, come ci siamo approcciate ai nostri uomini? E ancora: quanti complimenti, anche al limite della volgarità, ci hanno compiaciute?


Il tema è tutto culturale, e non riguarda solo gli uomini. Perché l'educazione, spiace farlo notare, è per la stragrande maggioranza impartita dalle donne. Prima a casa, poi a scuola.

Sarò esagerata, ma una madre che non insegna al figlio ad avere rispetto prima di tutto per chi da quando è nato lo ha accudito, ebbene, siamo sicure che lo stia proteggendo e aiutandolo a diventare un uomo autonomo? E se invece si stesse traformando prima nella sua ancella e poi, alla lunga, nella sua cattiva maestra? Condannando di fatto chi verrà dopo di lei a convivere con un uomo che, nella propria compagna, continuerà a cercare quella serva che lo ha cresciuto?

Meditiamo, noi donne, soprattutto. Perché le leggi già ci sono. Saranno anche perfettibili, ma uccidere è già un reato, così come lo sono i vari sottoinsiemi di violenza.
Non è che elevare la violenza sulle donne a reato specifico le renderà più forti. Al contrario, potrebbe rischiare di renderle ancora più deboli e indifese agli occhi dei loro carnefici.

Lavoriamo sulle donne, non sugli uomini.
Rendiamole più forti, più indipendenti, più lungimiranti e, soprattutto (perché è sempre una questione di amore), più amorevoli.

(Alessandra Testa)


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