mercoledì 17 febbraio 2016

Tessere per raccontare

Pensavo a quanto fosse strano tornare nel mio paese, nella mia città d’origine (a Bogotà la capitale della Colombia) e trovarmi in uno dei bar più rinomati per lo squisito caffè di cui il mio paese è per tradizione grande esportatore.
Sono all'Oma Cafè ad aspettare Fabiola Calvo, giornalista colombiana della quale avevo sentito parlare molto ma che non conoscevo ancora. Avevo letto e visto sul web un po’ del suo lavoro con la rete internazionale di "periodistas con visiòn de género" (giornaliste con visione di genere); lei è una di quelle giornaliste di vecchia data che hanno cominciato a battersi per i diritti delle donne negli anni Ottanta. Per me conoscerla era qualcosa di speciale.
Minuta, occhi scuri e profondi, cosi come la immaginavo, molto diretta e sicura di sé, semplice e schietta; una persona che anche se la vedi una sola volta ti rimane impressa perché ogni conversazione con lei ti lascia qualcosa. Fabiola fa parte della rete colombiana di giornaliste con visione di genere che si è formata dopo la Segunda Conferencia Latinoamericana de mujéres Periodistas (Seconda Conferenza Latinoamericana de Donne Giornaliste de la Federación Internacional de Periodistas FIP), tenuta a Río di Janeiro, Brasile, dal 25 al 28 di marzo 2004. La rete ha come obiettivo di cambiare il modo di vedere la realtà delle donne e di conseguenza trasformare l’informazione: il modo d’informare, analizzare, raccontare.
Fabiola ha cominciato a raccontarmi dell’attività delle giornaliste che appartengono alla rete, il loro lavoro si può paragonare al mestiere delle tessitrici perché partendo della realtà di ognuna delle nazioni che fanno parte di questo gruppo (il Messico per il Centro America, il Brasile, la Colombia, e l'Argentina per il Sud America e la Spagna per l'Europa) si riesce a intervenire nell'ambito dell’informazione e della comunicazione promuovendo un linguaggio per l’inclusione, per un giornalismo più rivolto al femminile.
Di questa rete fanno parte 36 paesi, ci sono degli incontri ogni due anni, ad ogni incontro cambia il coordinatore della rete, in questo momento sono Svezia, Colombia e Messico i paesi coordinatori e hanno l’incarico di scegliere tra le proposte presentate da ogni paese per lavorare ad un progetto in comune. In questo modo si riesce a trattare delle tematiche d’interesse per tutti: comunicazione per la parità, violenza di genere e femminicidio, tratta di persone e prostituzione, diritti sessuali e riproduttivi e il ruolo delle donne nel conflitto armato tra gli altri. 
Parlare con lei della situazione in materia di diritti in Sud America e in Europa mi ha fatto capire che anche se viviamo in nazioni e culture diverse le problematiche delle donne, la violenza di genere e la mancanza di un linguaggio per l’inclusione è una cosa sentita da tutte.
In Colombia c’è il conflitto armato e come conseguenza il fenomeno dei "desplazados", persone che fuggono dalla violenza nelle campagna lasciando le loro case, terre e la loro cultura per sopravvivere nelle grandi città; in Italia ci sono gli sbarchi di uomini, donne e bambini arrivati dalle nazioni africane e del Medioeriente che fuggono dalla guerra e dalla povertà. Le donne sono usate come armi di guerra in tutti i paesi in conflitto; il femminicidio esiste in occidente come nel terzo mondo; questo mi ha fatto capire quanto ha in comune chi come "noi" cerca nei media una visione di genere che permetta alle donne di essere considerate come individui con diritti concreti e non come soggetti alla ricerca di parole, soltanto parole, che poi si porta via il vento.


(Jhoana Ostos Tavera)

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